Poderoso massiccio isolato,culminante a 1738 m di quota con un caratteristico cumulo di nudi massi di “peperino” rossastro,il monte Amiata rappresenta qualcosa di speciale e unico nel paesaggio toscano: grande cono tutto trachitico,originato da un antico vulcano quaternario,è il centro fondamentale di separazione delle acque di fiumi importanti quali l'Orcia,l'Albegna,il Fiora,il Paglia e appare ancora oggi,nonostante le aggressioni subite,ammantato di bellissime foreste. Se questa montagna,come il naturalista Giorgio Santi scriveva alla fine del '700,”offre da tutti i lati suoi allo spettatore una bella veduta in lontananza,più magnifico,più pomposo assai è il suo aspetto per chi la riguarda dalla sua parte settentrionale. Vedonsi colà le sue falde largamente scendere fino alla fertile pianura della Val d'Orcia,che le giace immediatamente ai piedi,che ne riceve le acque...Queste falde nel sollevarsi dal piano presentano alla vista da ogni parte campi sativi,vigne,in qualche lato oliveti,boschi da pascolo e da legna,e sopra questi intorno intorno al gruppo dei monti,ed ove egli alquanto pianeggia,vari castelli non molto lontani gli uni dagli altri,e tutti assai abitati. Qui incominciano bellissimi castagneti,che rivestono quelle pendici,e si estendono verso l'alto fino al segno,ove il freddo e le nevi dell'inverno e l'asprezza del luogo non permettono loro il vegetare e il durare. Succedono quindi ai castagneti i faggi,i quali folti e vigorosi ammantano da tutte le parti la montagna,e giungendo alla più alta cima formano una chioma verde e maestosa”. Purtroppo la maggior parte del valore panoramico e naturale di questa bella montagna è ormai gravemente compromessa dalle strade che ne solcano ogni pendice,dagli impianti e dalle costruzioni di ogni genere,dal dilagare delle iniziative realizzate al di fuori di qualsiasi seria pianificazione del territorio.
Le Foreste. La reputazione delle foreste del Monte Amiata non è di ieri: già nel primo '700 il Micheli aveva scoperto,a qualche distanza da Pian Castagnaio,uno splendido bosco d'abeti denominato “pigelleto”-dal nome locale dell'abete,”pigello”- vegetante sul tipico suolo vulcanico,prezioso relitto di un'antica selva originaria. Lo stesso luogo fu alcuni decenni più tardi visitato dal Santi,il quale osservò che una quantità di altri alberi “che vi si sono allignati e vi crescono frammischiati,contrariano non poco la natural disposizione degli abeti a divenir alti e vigorosi”: erano cerri,sorbi,carpini,faggi e persino essenze più rare quali il tasso,”che in questi paesi è detto nasso”. La foresta era appartenuta alla Repubblica di Siena,e quindi al Granducato di Toscana,ma “la sua lontananza dalle città e dal mare,la mancanza di fiume navigabile e di buone strade,ed in conseguenza la difficoltà e il dispendio grande di trasporto rendendola poco utile alla corona l'hanno pur fatta negligere”. Una vera fortuna,che aveva consentito a questa foresta di giungere quasi intatta fino a epoche relativamente recenti,allorché venne aggredita dagli sfruttamenti più irrazionali,uniti all'attività mineraria nel sottosuolo per l'estrazione del cinabro. Ciò che resta di questo bosco merita rigoroso protezione; oltre a quelli già ricordati dai botanici dei secoli scorsi,vi sono altri alberi e arbusti- frassino maggiore e minore,acero,agrifoglio,pungitopo,dafne e molti altri- che costituiscono un insieme di vegetazione particolarmente ricco e vario. Per questo la Società Botanica Italiana ha da tempo reclamato la protezione di questo,come di altri simili biotipi,che rappresentano ormai oasi eccezionali in un ambiente sempre più alterato e compromesso. Una seconda piccola formazione residua di abete bianco giace poi non lontana,in località Selva di Santa Fiora: è il bosco del convento della Santissima Trinità,dove su terreni arenaceo-marnosi,insieme alla conifera dominante vegetano,sopratutto nella parte più bassa,tigli,faggi,carpini,aceri,castagni,ornielli,olmi,noccioli e varie specie di querce. Anche questa è un'isola importante di vegetazione,da salvaguardare a ogni costo. Un terzo nucleo relitto di foresta ad abete bianco si trova sull'opposto versante settentrionale dell'Amiata,a quota più bassa,presso la frazione di Vivo d'Orcia: qui,tra popolamenti di tiglio,carpino,acero montano e castagno ( e tra frustaie di pino e di altre essenze certo importate o diffuse artificialmente) si incontrano maestosi,altissimi esemplari di abete. Alcuni di questi,giganteschi,svettando fino a 35 m e raggiungono i 140 cm di diametro. Un residuo di boschi assolutamente diversi,ma non meno interessanti,si trova infine in località Fonte di Monte Penna,a circa 1000 m di quota,su terreni calcarei nel territorio del comune di Castell'Azzara. Si tratta di un piccolo popolamento spontaneo di acero campestre,una formazione assai difficile da trovare nell'ambiente naturale,avendo dovuto cedere il passo,quasi ovunque,alle coltivazioni agricole. Spesso all'assenza arborea dominante si associano l'acero trilobo,l'acero montano e l'orniello,sopratutto ai margini delle vallette e sui contrafforti rocciosi,mentre nelle conche più fertili e fresche si affermano altre piante quali il cerro,il frassino e il faggio. Purtroppo questa importantissima testimonianza di un tipo di foresta oggi praticamente scomparso rischia anch'essa di essere distrutta dall'invadenza turistica e dal carico eccessivo di bestiame pascolante,che impedisce ogni possibilità di rinnovamento della vegetazione.
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