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Alzheimer, Diabete, Tumore


 

Salute: ci sono buone speranze per i pazienti oncologici,i malati di Alzheimer,i diabetici

Tumori: meno chemioterapia grazie a una proteina “operaia”

 

Bloccando una proteina “operaia” che aiuta le cellule tumorali a riparare il proprio DNA e a riprodursi,si aumenta la possibilità di uccidere queste cellule con farmaci mirati,evitando pesanti chemioterapie che distruggono non solo le cellule malate,ma anche quelle sane. La scoperta è italiana,frutto della ricerca dell'IRCCS de Bellis di Castellana Grotte (Bari) guidata dal professor Cristiano Simone,in collaborazione con lo statunitense NIH e con altri gruppi italiani e sostenuti da Fondazione AIRC. I ricercatori hanno chiarito il ruolo del gene SMYD3 nei tumori,un gene che dà istruzioni alla proteina operaia riparatrice del DNA delle cellule tumorali e che è molto presente in tanti carcinomi. Una volta sviluppati i farmaci inibitori della proteina,diretti quindi solo contro le cellule malate,si potrà evitare la Chemio nel 10-15% dei cancri al seno,al colon,all'ovaio e al pancreas. “Le nostre cellule”,hanno spiegato i ricercatori,possiedono delle “squadre di manutenzione” che riparano eventuali danni nel DNA. Questo meccanismo non serve solo a mantenere in salute le cellule sane,ma è purtroppo usato anche da quelle tumorali per “difendersi”,per esempio dai danni della Chemioterapia,cioè dai nostri tentativi di distruggerle. La riparazione del DNA avviene però sopratutto grazie a un enzima chiamato PARP,molto più che con SMYD3. Utilizzando sostanze che inibiscono PARP,oggi le terapie mirate contro il cancro (non la Chemio) sono già in grado di andare a colpire solo le cellule difettose,in cui 2 geni,BRCA1 e BRCA2, sono mutati. Tuttavia,non tutti i malati hanno questa mutazione,pertanto queste terapie finora non sono state applicate a molti pazienti”. Gli scienziati hanno infatti dimostrato che,bloccando la funzione di SMYD3,si possono trattare con sostanze che inibiscono l'enzima PARP anche pazienti con geni BRCA1 e BRCA2 non mutati perché si bloccano le proteine operaie di riparazione. Una percentuale di tumori della mammella,del colon,dell'ovaio e del pancreas produce grandi quantità di SMYD3 ed è quindi molto sensibile a sostanze che lo inibiscono: questi tumori potranno essere curati con i nuovi farmaci anziché con la Chemioterapia.

Un farmaco potrebbe frenare l'Alzheimer

Non c'è ancora una cura e la cautela è d'obbligo,ma negli ultimi anni le speranze terapeutiche della malattia sono state riposte in un farmaco sperimentale: un anticorpo monoclonale prodotto in laboratorio dall'azienda farmaceutica statunitense Biogen,chiamato Aducanumab. In alcuni studi sperimentali su pazienti affetti dalla malattia ai primi stadi,l'anticorpo è stato in grado di “ripulire” il cervello dalle placche di proteina beta-amiloide,una proteina insolubile coinvolta nel processo di degenerazione cerebrale tipico dell'Alzheimer. La sperimentazione clinica sul farmaco era però stata sospesa lo scorso anno perché secondo alcuni studi revisionati da un comitato scientifico indipendente sembrava inefficace. La casa farmaceutica Biogen ha scelto di non rinunciare e ha integrato le precedenti analisi con altri dati di oltre 1500 pazienti affetti da Alzheimer allo stadio precoce,non disponibili in un primo momento. Il risultato? Alte dosi di Aducanumab sembrano ridurre in modo statisticamente significativo sia la quantità di proteina beta-amiloide che si forma nel cervello sia il declino clinico (cognitivo e funzionale),senza eliminarli,ma rallentando la progressione della malattia. Anche in altri casi,i cui sintomi dell'Alzheimer non erano ancora evidenti ma erano presenti nel cervello placche amiloidi,il farmaco ne ha ridotto il numero. I dati sono bastati per valutare se sia il caso di proseguire la sperimentazione clinica. La parola spetterà ora alla FDA (Food and Drug Administration),l'agenzia regolatoria su farmaci e alimenti negli Stati Uniti. Il farmaco sarebbe il primo nuovo trattamento per l'Alzheimer in quasi 2 decenni. “Sebbene i dati della sperimentazione abbiano portato a una certa incertezza nella comunità scientifica,questo deve essere soppesato con la certezza di ciò che questa malattia farà a milioni di americani in assenza di un trattamento”,ha scritto l'Alzheimer's Association in una lettera al comitato scientifico che dovrà quanto prima esprimersi.

Il diabete: potrebbe guarire con il bisturi

Un piccolo intervento di “lifting” all'intestino per via endoscopica potrebbe guarire in modo definitivo il diabete di tipo 2,quello che insorge in età adulta,dovuto alla resistenza delle cellule dell'organismo nei confronti dell'insulina,l'ormone che permette alle cellule di assorbire il glucosio: una condizione chiamata insulino-resistenza che fa aumentare la glicemia (i livelli di glucosio) nel sangue. L'intervento,chiamato “ringiovanimento della mucosa duodenale”,rimodella una parte dell'intestino (il duodeno)usando il calore che fa ringiovanire il tessuto della parete intestinale,rigenerandolo e producendo cambiamenti metabolici e ormonali che farebbero regredire il diabete. E' stato sperimentato in Olanda all'Università di Amsterdam su 16 pazienti. Dopo l'intervento,il 75% di loro ha potuto sospendere del tutto la terapia insulinica e farmacologica riuscendo a controllare la glicemia,mentre il restante 25% ha potuto comunque ridurre la dose di insulina e di farmaci necessaria a tenere sotto controllo la glicemia. I pazienti guariti hanno perso anche peso a 12 mesi dall'intervento,passando da un indice di massa corporea (il rapporto tra il peso in chili e il quadrato dell'altezza in metri) di 29,8kg/m2 a uno di 25,5 (la soglia oltre la quale è in sovrappeso è 25). La percentuale di grasso nel fegato si è ridotta dell'8,1% al 4,6% a 6 mesi dall'intervento. Ora è necessario un campione più numeroso di pazienti; inoltre l'intervento è ancora piuttosto costoso e non tutti possono essere sottoposti alla procedura che può avere degli effetti collaterali. Per la ricerca scientifica il rimodellamento della mucosa duodenale è molto interessante perché conferma il ruolo del duodeno sul controllo metabolico e suggerisce la necessità di nuovi studi per capirne di più. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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